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Cugliate Fabiasco si trova su un ampio poggio morenico della Valmarchirolo, dal quale è possibile risalire la cima del Monte dei Sette Termini (972 m) e addentrarsi in affascinanti aree boschive.
Cugliate e Fabiasco sono le frazioni che compongono il comune, di cui fino al 1955 faceva parte anche il paese di Marchirolo.
La storia del paese è documentata dall’anno Mille, quando Cugliate Fabiasco era parte della Pieve della Valtravaglia, che faceva capo all’arcivescovo di Milano, sia in termini civili che ecclesiastici.
Durante il periodo medioevale il borgo venne incluso nel feudo del Monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, per poi ritornare nel 1138 al disotto della giurisdizione ambrosiana, con il privilegio di dettarsi il proprio statuto. Protagonisti dei successivi passaggi di mano del feudo furono prima i Visconti, poi i conti Rusca di Como, la famiglia Marliani e infine i conti Crivelli, fino a quando, nel 1797, le leggi napoleoniche sancirono la fine del sistema feudale in Lombardia.
Cugliate è solo l’ultimo di una lunga teoria di toponimi, la più lunga che si conosca rispetto ai nomi degli altri comuni della valle. Ebbene il paese inizialmente si chiamava Colliate, poi Quiliate, Quigliate, Quia, Cullate, Culliate e infine Cugliate.
Queste variazioni possono essere ascritte alle difficoltà di trascrizione della parola originaria cùja, oggigiorno usata nell’idioma del luogo e di probabile discendenza dalla radice indoeuropea cu, utilizzata ben prima dei Celti e da questi ripresa, e poi dai Galli e dai Romani. Cu significa “comunità” o “unione”, ovvero un villaggio o un insieme di agglomerati abitativi.
Delle due frazioni, Cugliate è la più estesa a popolata, nonché sede del Municipio.
Ha conservato la sua impronta medioevale, con il centro storico organizzato secondo piccole corti, ciascuna con un nomignolo tradizionale, tra cui Curi Magiòt, Curt Marèk e Curt Simun. Tra le opere architettoniche locali è da menzionare il Convento o Cà del Carlàsh. In stile cinquecentesco ma riadattato a partire da una struttura precedente, possiede un notevole portale abbellito da affreschi tardo-rinascimentali.
San Giulio fu il sacerdote a cui si deve l’evangelizzazione di buona parte del territorio varesino, e così a lui venne dedicata la chiesa parrocchiale. È in stile barocco e venne innalzata nel 1701, come afferma la data incisa sul portale, e fu poi ampliata e modificata a croce latina nel 1849. Purtroppo invece non è rimasta testimonianza dell’antica chiesetta romanica segnalata da Goffredo da Bussero alla fine del XIII secolo.
Fabiasco, fabiàsk nell’idioma locale, è l’unione di fabi e asco.
I Fabi, secondo la leggenda, sarebbero la romana gens Fabia che avrebbe abitato nell’attuale borgo, nel quale è oggi presente proprio una via dei Fabi.
Se Goffredo da Bussero parlava di una chiesetta tardo-romanica edificata nel XIII secolo di cui però non rimase più traccia, si potrebbe allora lanciare l’ipotesi che sia la base ove venne costruita nel XVII l’attuale chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria. È un edificio pregevole, con un bell’altare maggiore, qui trasportato, secondo la leggenda, dopo essere stato prelevato dal Sacro Monte e portato in paese con un carro tirato da bovi. L’altare è composto di due parti costruite in periodi diversi, una del Cinquecento e l’altra del Settecento. Consiste in una scultura lignea di elevata qualità artistica e fino ad oggi ben conservata ed è posta al centro di un tronetto e raffigura il Mistero dell’Annunciazione.
Le risorse economiche del paese si devono alle attività artigianali tessili, meccaniche e dell’arredamento e, come altri paesi limitrofi, derivano in parte dal frontalierato verso la Confederazione Elvetica.
Da non dimenticare il settore turistico, creatosi grazie alle bellezze naturali e architettoniche locali.
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