Latitudine: 45.785973 Longitudine: 8.736372 |
I testi sono stati modificati e adattati per le esigenze del sito mantenendo invariate le qualità delle informazioni.
Inarzo si trova, immersa nel verde, adiacente la Palude Brabbia (oasi naturale della LIPU), a pochi chilometri da Cazzago Brabbia e da Bodio Lomnago.
Quì ha sede il Centro visite della Palude Brabbia.
Nonostante il nome di Inarco sembri derivare da un latino in arce, cioè “luogo elevato e fortificato”, oppure secondo l’interpretazione dell’Olivieri da in arso, a significare “nel luogo bruciato”, la principale caratteristica naturale del territorio comunale è una zona umida, la Palude Brabbia, oasi che dal 1985 è stata dichiarata protetta dalla Regione Lombardia.
Il valore ambientale delle specie animali e vegetali, come poiane, libellule e il raro Hydroporus nivalis, oltre alle belle ninfee che si possono ammirare e qui trovano il proprio habitat, richiama molti appassionati di birdwatching e naturalisti in cerca di luoghi incontaminati.
Ma non è sempre stato di questo genere idealista il rapporto degli Inarzesi con la Palude Brabbia.
Abituati da lungo tempo a considerare le risorse ambientali come mezzi di sostentamento, gli abitanti del territorio hanno sfruttato saggiamente la zona per approvvigionarsi di torba da destinare al riscaldamento delle proprie abitazioni e per la pesca.
Fin dal secolo XVI erano state avanzate proposte per il prosciugamento della Palude, al fine di evitare le malattie derivanti dalla vicinanza con la zanzara anofele, che prolifera nell’ambiente umido, e di ricavarne terreno agricolo che, per la presenza della torba, si sarebbe rivelato particolarmente fertile.
La bonifica non ebbe però mai luogo e si procedette piuttosto all’estrazione della torba, attività in cui fino all’inizio del nostro secolo erano impegnati molti degli abitanti dei territori vicini.
Le fonti storiche di Inarzo non risalgono a prima del 1300, quando, nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, Goffredo da Bussero individua in Inarzo, per errore di grafia detto marzo, la chiesa di San Pietro, vale a dire quella che attualmente viene chiamata la ̶o;chiesa vecchia” per distinguerla dall’edificio di culto più recente.
Le altre notizie che riguardano la vita del paese si ricavano ancora dalla storia ecclesiastica e da qui apprendiamo che nel 1398 un certo Jacobus de Inarzio, presbitero, risultava titolare di una cappella sita nella chiesa di San Babila a Milano, oltre che di una rendita in una cappella vicina.
Gli Inarzesi provvedevano fin dal 1579 al mantenimento del proprio curato e, dopo la scorreria dei soldati francesi in coincidenza con la battaglia di Tornavento del 1636, che aveva incendiato molte corti agricole e causato danni alla chiesa, il popolo decise di contribuire all’opera di costruzione della nuova parrocchia, terminata nel 1671 e dedicata ai Santi Pietro e Paolo.
Da un documento redatto in occasione della morte del cardinale Federico Visconti, detentore del feudo di Albizzate, di cui anche Inarzo faceva parte, risulta una descrizione della vita economica del paese, fornito di una macelleria, un forno per il pane e un’osteria.
L’attività economica principale comunque, come appare anche dalle mappe del Catasto Teresiano del 1724, è quella agricola, che continua a rappresentare la maggiore fonte di reddito anche nel secolo successivo, fino a quando la Filatura Borghi di Varano diviene meta giornaliera di molte lavoratrici del comune.
Il Novecento porta novità di rilievo nella struttura amministrativa ed ecclesiastica, con la separazione della parrocchia di Bernate nel 1901 e, cosa di maggior rilievo, l’erezione nel 1958 del comune autonomo di Inarzo, fino ad allora unito a Casale Litta.
Non avendo avuto uno sviluppo industriale consistente negli ultimi decenni, il comune di Inarzo vede molti dei propri abitanti impegnati lavorativamente presso località vicine, mentre una parte è occupata presso una locale azienda tessile o in piccoli laboratori artigiani.
Dichiarata, con un decreto ministeriale del 1984, zona umida di interesse internazionale.
Questa torbiera copre una superficie di oltre 450 ettari ed è attraversata, lungo il margine occidentale, dal canale Brabbia, che congiunge il Lago di Comabbio con il Lago di Varese.
Oggi la torbiera è una riserva naturale, ma nel passato era una importante risorsa per le comunità locali.
La torba è un combustibile fossile composto da residui di piante palustri che crescono sul fondo dei laghi o degli stagni.
In queste zone ricche d’acqua, l’estrazione della torba era un lavoro molto comune, ma né facile né leggero.
Il lavoro estrattivo prevedeva la mondatura della superficie dall’erba, dalle canne e dalla terra, si procedeva poi ad effettuare un primo scavo di sondaggio e infine si estraeva la torba vera e propria con il luscée, ovvero una vanga quadrangolare dotata di un lunghissimo manico.
Il materiale estratto veniva modellato in mattonelle, poi ammucchiate e lasciate essiccare durante i mesi più caldi dell’anno, tra maggio e luglio.
CONTATTI:
Email: info@itinerariesapori.it